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Andrea Crobu Crobu Italia
Andrea Crobu Crobu
17. 12. 2020
Il mese sbagliato nel posto giusto. Questo lunghissimo anno maledetto dal Covid ha distrutto i piani di molti e le vite di troppi. Gli amici d’oltremare mandano foto di pesci per noi irraggiungibili, letteralmente essendo in semi-lockdown, ma ci ricordiamo che c’è una terra santa in Italia, dove gli spiriti si sollevano e c’è pane per chi ha denti. Dopo una serie sorprendentemente breve di messaggi, mi ritrovo sul sedile di aereo Verona- Olbia, mentre Andrea Corradi sta guidando verso Livorno con il defender carico di sogni, rabbia furibonda e una mezza tonnellata di attrezzatura da pesca. Siamo al 21 di novembre e il fronte invernale sta conquistando la Sardegna arrivando da nord-est. Atterro nel tardo pomeriggio a Olbia, giusto in tempo per godere delle bellezze della laguna cittadina insieme al mio amico Gigi di spinninginsardegna.com che è guida di pesca Aigupp e conosce le spigole locali per nome. La laguna è affascinante e le spigole invernali non sono da meno, ma io sono venuto per i bass, quindi mi godo il tramonto con Gigi e mi prato che domattina alle 7:30 il Corradi sbarca in porto, mi carica e si parte alla volta del lago del Flumendosa. Una cinque giorni di caccia spietata al big one, sperando di trovarne ancora attivi nonostante il freddo. Sbarcato a Olbia, Andrea mi passa a prendere al volo e partiamo alla volta di Nurri (NU) per calare al barca nel Flumendosa. Duecento chilometri di Sardegna scorrono veloci, privi di traffico e sempre ingentiliti dalla bellezza dell’entroterra sardo autunnale. Niente terra arsa dal sole ed erba gialla, ma una campagna verde che ricorda un’Irlanda col cielo terso e un tepore primaverile. La giusta pausa nell’area di sosta mi spinge a fare il bravo papà e compro un peluche educativo a tema pesca per mia figlia che è sempre troppo brava e già mi manca: benvenuto in famiglia a Martino, il martin pescatore. Il viaggio prosegue tra una spiata al meteo e l’altra, speranzosi di avere davanti quattro giorni buoni, ma le notizie dei possibili nubifragi in arrivo in tarda settimana non aiutano l’ottimismo. Arriviamo sul lago del medio Flumendosa verso le undici del mattino e all’arrivo troviamo una temperatura dell’aria piacevole, ma ben diversa dal caldo fuori stagione della settimana precedente. Andrea presagisce già che sarà più dura del previsto: nella sua esperienza a un improvviso fronte freddo si accompagna qualche giorno di fermo dell’attività dei pesci. Scarichiamo i bagagli, riforniamo di olio e benzina la barca subito caliamo, sperando che le ore centrali della giornata ci regalino qualcosa. Non sarà così. Acqua a 14°C, aria a 18°C con alta pressione: un brusco calo dall’acqua a 18°C della scorsa settimana con l’aria a quasi 30°C al sole nelle ore più calde. Il lago è basso, molto basso, poco più di due metri sotto il livello dello scorso anno. Molti degli spot che vorremmo battere non ci sono più e buona parte dei canyon non è accessibile. Andrea batte ogni spot con la triple jointed claw, la bass boat scorre veloce sulla superficie piatta del lago, maciniamo chilometri in preda a una smania da big bass che ci toglie il fiato, ma dopo cinque ore e quattrocento lanci a galla, arrivato il tramonto, dobbiamo desistere. Si comincia a ragionare su cosa possa essere successo, sfruttando quei pochi numeri che abbiamo a disposizione e macinandoli con gli anni di esperienza maturati in giro per il mondo a caccia di big bass. Il lago è calato di quasi tre metri, molte delle piante che la memoria ci dice essere sotto il pelo dell’acqua sono in realtà in secca. Alta pressione e aria fredda. All’ora di pranzo di sfiorano i 20°C, ma l’acqua non si schioda dai 14,5-16°C a seconda dell’esposizione solare. Non c’è vento, fortunatamente, ma fino alle 9 del mattino il lago è avvolto nella nebbia. Siamo già al lunedì notte, abbiamo riempito quasi 200GB di disco e siamo allo zero assoluto, quindi domani si riparte iniziando da zone che sarebbero normalmente sotto 5 metri d’acqua e vediamo che succede. Pianifichiamo un assalto ai creek che ancora non abbiamo battuto, puntando al pescare ancora più furiosi, con sessioni rapide nei singoli spot e spostamenti furibondi. La giornata la iniziamo dove il Flumendosa entra le lago, un punto che è famoso per la bellezza naturalistica e per il pregio nella pesca. La sorpresa è notevole nel vederlo così basso; la trasparenza dell’acqua è totale e scivoliamo sopra un fondale che non ha segreti. Sotto di noi si vedono alberi di cui solo l’eco ci aveva fatto scoprire l’esistenza, alberi che si rivelano essere degli spot eccellenti per gli amanti del carpfishing, essendo ricoperti di carpe di ogni taglia. Veramente è difficile descrivere l’abilità con cui si vanno a infilare sotto qualsiasi cosa che offra una parvenza d’ombra, sembrano parte integrante dell’albero e sono sorprese quanto noi dal poter stabilire un contatto visivo con noi. Proseguiamo fintanto che la profondità ce lo concede, quindi realisticamente ci fermiamo a un centinaio di metri da dove ci saremmo aspettati di fermarci di solito. Per chi ama la vita acquatica, viaggare a motore elettrico in un canyon con acqua trasparentissima è un sogno: sembra di volare sopra banchi di pesce, rocce, piante sommerse. L’acqua e l’aria in questa parte del lago sono molto fredde, con una massima di 12°C per l’aria e di 9°C per l’acqua. Siamo stati fortunatissimi a poterci godere questo quanto d’ora naturalistico di incredibile pregio, ma abbiamo anche visto che non c’è un bass a pagarlo oro in questa zona. Purtroppo anche i lanci confermano quest’ipotesi e la triple jointed claw non incontra nessuno degno di lei. Torneremo al tramonto, a fine giornata, per capire se è una cosa legata al fotoperiodo. Ci spostiamo su delle flat coperte di piante affioranti, quello che doveva essere stato un boschetto di ginepro e mirto, che ora spuntano dal pelo dell’acqua, ma normalmente se ne stanno tre metri sotto. Qui l’insolazione è migliore e decidiamo di spenderci sopra tutte le ore centrali della giornata. Ed è qui che abbiamo il primo momento di adreanalina: siamo in tre metri d’acqua a 16°C, lancio sottoriva, in mezzo ai rami emergenti, recupero lento e cadenzato da lunghe pause, ma si lascia l’esca andare quasi per inerzia tra un colpetto e l’altro. A tre metri dalla barca lo vediamo, un bel bass mastodontico di quelli che farebbero la felicità di tutti i bassman italiani. Di sicuro è partito da mezzo metro di profondità, nascosto tra i rami e intento a godersi un po’ di sole. Arriva a tre centimetri dalla Jointed Claw, ci vede, si gira e se ne va lasciandoci soli con un gorgo d’acqua. Momenti di incredulità, seguito da un momento di realizzazione, seguito da un momento d’odio per il destino infame e da altre due ore di lanci. Al pomeriggio tentiamo di battere dei backwater, battendone vari in giro per il lago e facendo correre la Stratos come si deve. È una vecchia signora, ma ha grinta da vendere e terrà botta per tutta la spedizione. Altre quattro ore di lanci. Niente. Niente. Non c’è segno di vita in questo lago, se non per qualche carpa che nuota a pelo d’acqua ogni tanto. Al tramonto torniamo al canyon di inizio giornata, a vedere se il nostro ragionamento porta a qualcosa e sperando che al cambio di luce si veda del movimento. Passaggio al tramonto sotto il ponte della parte alta del lago Purtroppo il niente regna sovrano e con le ultime luci del giorno torniamo alla base a bocca asciutta. Secondo giorno di pesca, secondo cappotto: sarà l’inverno che incombe, ma qui pare che ci si rifarà il guardaroba. La nottata passa tra mille discorsi, a tratti surreali, su cosa facciano i bass quando arriva un fronte freddo come questo. È difficile pensare come un pesce, si rischia sempre di fare ragionamenti intelligenti del tipo “ma mangerà anche lui due volte al giorno” seguiti dal sempre più classico “chiaramente sanno qualcosa che noi non sappiamo”. Decidiamo di dare un senso alla nostra vita: scarichiamo altri 200GB di lanci a vuoto sul disco fisso, pianifichiamo uno spostamento al vicino lago Mulargia per l’indomani, in modo da avere un secondo possibile giorno da spendervi se le cose dovessero andare bene, o un terzo giorno da spendere sul Flumendosa. La mattina del mercoledì arriva con una leggera brezza da sud-sud est. Si carica la macchina e si parte verso il lago Mulargia. Lago che a sua volta è al minimo storico e già il solo calarci la barca si rivela un’impresa per via della grande massa di terreno cedevole che è stata esposta dall’abbassarsi delle acque. Qui l’acqua è più calda, in certe zone raggiunge i 15,8°C, e la cosa ci regala qualche speranza. Si parte in cerca di sponde profonde, sperando che al dipanarsi delle nuvole qualche ciccione salga dal fondo in cerca di calore o prede di superficie. La Jointed Claw gira per ore, battendo tutte le rive rocciose e i creek più profondi, fin’dove la barca riesce ad andare, perché anche qui il livello basso rivela banchi di sabbia molesti che accorciano i creek e impediscono di raggiungere spot che ci si ricorda fantastici, ma che ora saranno sicuramente in secca. Ci spostiamo tra le nuvole basse per tutta la mattina. L’aria fresca e l’umidità alta sono motivi per scoprirsi sorprendentemente svegli, specialmente se sparati in faccia a 80km/h. La foga è tanta due giorni di cappotto sulle spalle iniziano a fare caldo, quindi bene venga un po’ di fresco. Dopo qualche ora la giornata si apre, le nuvole scompaiono e il vento le segue: bonaccia assoluta in un panorama che ricorda il lago Baccarac in Messico. Si viaggia veloci evitando le secche e si prova a cercare qualche mangiata battendo i muretti sommersi. Altre quattro ore di lanci. Niente, niente. Anche qui l’acqua ha perso calore velocelemente rispetto alla settimana scorsa e questo di certo non aiuta l’attività dei pesci. Qui non vediamo neppure le carpe e l’umore non è dei migliori a bordo. Siamo a 600GB di lanci a vuoto, tre giorni consecutivi a 8 ore di pesca pesante con mezz’ora di pausa pranzo, per incontrare il nulla assoluto. Non nascondo che l’ottimismo non sia ai massimi livelli, ma se c’è un’esca che può smuovere qualche ciccione dal torpore è una super swim bait, e noi abbiamo l’ultima nata di casa Gan Craft sottomano, la triple Jointed Claw, se c’è uno che tiene botta per quattro giorni filati è il folle che c’è qui in barca con me, inoltre abbiamo la miglior canna al mondo e i migliori mulinelli, quattro Daiwa Zillion belli come il sole, quindi siamo al top del top. Ogni tanto dobbiamo ricordarci che tutto quello che dipende da noi l’abbiamo fatto correttamente e che se non mangiano è per un motivo che non è sotto il nostro controllo, quindi si tratta solo di incappare nella finestra di attività, continuando a stare sul pezzo. Si corre all’impazzata da uno spot all’altro, sfruttando a pieno il motore, la barca e l’assenza totale di vento che rende il lago piatto, evitandoci i sobbalzi. Backwater, drop, cover, piante sommerse, erbai e tronchi affioranti: battiamo tutto con insistenza e precisione, ma niente, il lago sembra morto. Decidiamo di rientrare e calare nuovamente al Flumendosa per tentare il tramonto dove il giorno prima avevamo visto l’unico pescione. Una zona con piante semi sommerse e un erbaio che è cresciuto rigoglioso, sfruttando il livello basso e la maggior quantità di luce che arriva sul fondo. Purtroppo il nostro amico del martedì non si fa vivo e rientriamo mesti e pesti. Giovedì è il giorno del tutto per tutto: oltre a essere l’ultimo giorno di pesca, c’è un allarme meteo per la sera su tutta la Sardegna meridionale che non lascia presagire nulla di buono. La giornata segue il solito copione: si parte dalle flat, si va poi nei creek e si cerca di battere le rive più scoscese nelle ore centrali della giornata. Il tempo peggiora e il vento inizia a farsi sentire, la temperatura dell’acqua è precipitata nell’ultima notte e nelle zone d’ombra non supera i 10°C. Altre sei ore di lanci infruttuosi lungo tutti gli spot del lago. Uno stillicidio lento e costante, lancio dopo lancio le certezze si sgretolano e i dubbi si insinuato. Fino al momento magico. Scogliera ripida, profondità 6 metri, pianta sommersa. Andrea lancia sopra la pianta, big big bass scatta e attacca al volo. Sbaglia l’esca. Andrea non la toglie dall’acqua, ma recupera un metro e dà due strappetti, lasciandola oscillare dolcemente a pelo d’acqua. Il bass ritorna, lento e sicuro di sé. S’avvicina, apre la bocca e morde delicatamente la coda dell’esca, poi si gira e se ne va, lasciandoci lì, come due… Segue un’amara serie di constatazioni sulla crudeltà del destino infame che ci gettano nello sconforto più nero, però ci ricordiamo anche che sono le 14, ora in cui anche due giorni prima abbiamo avuto l’attacco, quindi qualcosa di giusto l’abbiamo anche fatto. Sempre maledicendo il destino infame, ci spostiamo di poco ed entriamo in un backwater ombreggiato. Due lanci lungo la riva sinistra non cambiano l’umore e non portano a nulla, un lancio verso la riva destra però fa il miracolo. Andrea lancia sotto un ramo emergente e attiva la Jointed con un colpetto leggero. L’attacco arriva subito. Il bass era lì, in agguato tra le piante acquatiche che solo dopo averlo liberato ci accorgeremo che ricoprono tutto il fondale. La ferrata è solida e il combattimento feroce, come solo quattro giorni e quattromila lanci a vuoto sanno produrre. Il bass viene portato sottobarca senza lasciagli la possibilità di saltare e tentarela fuga Ha la Jointed in bocca, serve il guadino perché ci sono troppi ami in gioco. Una volta in barca parte l’urlo liberatorio e finalmente, finalmente abbiamo un pesce di livello che ci ricorda come valga sempre la pena alzarsi la mattina per andare a pesca. Si rientra con il giusto sorriso a trentasei denti e ci si appresta a fuggire al maltempo. Scappiamo prima dell’alba, appena i tempi del lockdown lo permettono, e ci lasciamo alle spalle quella che sarà la peggiore ondata di maltempo dell’anno, con più di 100mm di pioggia e venti oltre i 90km/h. Il lago che ricordavamo tre metri sotto il livello medio guadagnerà sette metri in una notte. Abbiamo centrato l’unica cattura nell’ultimo giorno possibile, dopotutto non è andata malissimo.

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